La neuralterapia fu sviluppata da due medici tedeschi, i fratelli Walter e Ferdinand Huneke, tra il 1920 e il 1930. Essi scoprirono accidentalmente che la procaina, un anestetico locale, iniettato in certe zone del corpo (ad esempio le cicatrici) riduceva o eliminava disturbi dolorosi in altre sedi corporee. Scoprirono anche che questo effetto durava più a lungo rispetto al solo effetto attribuibile alle proprietà dell’anestetico locale. I fratelli Huneke chiamarono queste zone del corpo “campi di disturbo”. La neuralterapia si occupa di identificare e trattare questi campi di disturbo.
Per campo di disturbo si intende un tessuto patologicamente danneggiato, come cicatrici, denti estratti o devitalizzati o organi cronicamente infiammati quali ad esempio le tonsille o l’intestino. Questo tipo di tessuto danneggiato può portare a disturbi in altri parti del corpo. La teoria alla base di questi fenomeni prevede che la matrice extracellulare, ovvero la parte di tessuto che non compone la cellula, oltre a dare sostegno strutturale ai tessuti rappresenti anche un sistema di informazione complesso. Ciò significa che le modifiche subite dalle aree di tessuto danneggiato interferirebbero con l’attività dei centri nervosi, alterando le funzioni del sistema nervoso autonomo. L’azione terapeutica della procaina andrebbe quindi a normalizzare i segnali nervosi provenienti dai campi di disturbo, ripristinando così l’equilibrio fisiologico dell’organismo e le sue capacità di autoregolazione.
La neuralterapia si presta quindi a molteplici aree di applicazione: è maggiormente conosciuta per il trattamento del dolore ma è indicata anche per qualsiasi problema a carico del sistema nervoso autonomo come l’asma, l’emicrania, il reflusso gastroesofageo, la distrofia simpatico-riflessa e la sindrome del colon irritabile.
A volte un singolo trattamento è sufficiente, ma spesso si devono ripetere più sedute terapeutiche (in media 4-5) per ottenere un risultato pienamente soddisfacente.
La neuralterapia non presenta controindicazioni, ad eccezione dei casi di allergia agli anestetici locali e di deficit genetico dell’enzima colinesterasi, che diminuisce la tolleranza del paziente ai rilassanti neuromuscolari. I dosaggi utilizzati sono comunque normalmente molto bassi.
Dott. Sergio Veneziani, Medico chirurgo, specialista in ortopedia e traumatologia